IN BICICLETTA
Giammai, scoccata da una man feroce
Dall’arco teso non fuggì saetta
Come sul suo sentier corre veloce
La bicicletta.
La bicicletta.
Volan le rote e mentre sulla via
Nessun rumor presso di lei si sente,
Qualche imbecille al corridore invia
Un accidente.
Un accidente.
A me che importa se della canaglia
M’insegue il riso o il mormorar d’alcuni,
Se l’iniqua parola altri mi scaglia
O il molla Buni?
O il molla Buni?
Io corro, io volo sulla bicicletta,
Questo ideal della cavalcature:
Chi soffre d’emorroidi o di bolletta,
M’insulti pure.
Ch’io son beata e un fremito m’assale,
Mi avvolge un’onda di piacer sovrano,
Quando vengo stringendo il trionfale
Manubrio in mano.
Io son beata allor che fra le gambe
Sento il rigido ordigno e in quegli istanti
Tendo le coscie e l’agitar d’entrambe
Lo spinge avanti.
“Molla Buni!” fu nel 1894, all’Arena di Milano, il grido del pubblico, stupefatto perché il ciclista Romolo Buni, “il piccolo diavolo nero”, rimasto solo in pista dopo il ritiro degli avversari (i francesi Médinger e Cassignard), non smetteva di pedalare forsennatamente per battere il record di velocità, anziché prendersela comoda. Divenne un modo di dire per spronare i pigri e calmare i troppo zelanti.
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